L' insorgenza delle malattie a decorso epidemico, era causata da fattori allora sconosciuti: virali, batterici, da parassiti da cui scaturivano il tifo, la scabbia, la rogna, il colera, la diarrea, l'herpes e la malattie esantematiche perniciose come il vaiolo.Il contesto igienico-sanitario generale era precario e a questo clima di insufficienti garanzie si aggiungeva l' ignoranza scientifica e la promiscuità di ogni genere.
Le pestilenze erano epidemie ricorrenti che arrecavano lutti, degrado fisico e morale, carestie. Tra quelle più devastanti sono da ricordare due in particolare. Quella del 1645 in cui si prodigò S. Carlo da Sezze che descrisse uno scenario straziante:"Non si vedeva altro per le strade che portare infermi e caricare morti....ogni giorno morivano dalle dieci alle quindici persone". Ancora più devastante fu la peste bubbonica del 1656-57. Tragico fu il bilancio: morì circa il 50% degli abitanti, di 2750 persone ne restarono in vita 1440.
Nel 1600 vigeva ancora un rigido sistema feudale fondato sulla netta divisione tra le classi sociali. Da una parte i feudatari e i loro dignitari che esercitavano un potere assoluto, dall' altra il popolo "fedele vassallo" sottoposto ad ogni forma di angherie, gravato da balzelli, da tasse, da corvée. Carpineto doveva sopravvivere nel rispetto di una economia di sussistenza e di autuconsumo: tutto il necessario per la sopravvivenza della comunità, doveva essere prodotto in loco. Era tassativamente vietato esportare grano ed era quasi impossibile importarlo in periodo di carestia. Il grano insieme alle castagne, era l'elemento fondamentale dell'alimentazione. Il mais, le patate, i pomodori entreranno nelle diete alimentari solo alla fine del 1700, inizi ‘800. Il pane era un alimento di discriminazione sociale. Quello fresco, fragrante, di piccola pezzatura, impastato con il "fiore" della pura farina di grano era destinato alle mense dei nobili, dei dignitari amministrativi e curiali, della nascente borghesia. Il pane nero ottenuto da un miscuglio scadente di farina di grano, miglio, fave, ghiande, veccia, loglio, farro, papavero, non lievitato, non ben cotto, era destinato ai lavoratori, agli sterratori, agli scaricatori. Ogni strato sociale preparava un proprio menù, adeguato al rango sociale di appartenenza. La enogastronomia rispettava la stratificazione gerarchica sociale. Il vino di migliore qualità era destinato ai signori. A chi faticava si confaceva un vinello leggero, conosciuto molto più prosaicamente come "acquato" ottenuto dall' infusione in acqua delle vinacce dopo tre o quattro torchiature. Era adatto ai lavoratori della terra perché "raspava la gola". Pasti pantagruelici erano serviti ai baroni e loro dignitari a base di cacciagione, di volatili nobili, di contorni saporiti e appetitosi. Cibi poveri non conditi, spesso non cotti, erano destinati ai popolani. La classe allora dominante doveva differenziarsi in tutto dai propri sudditi. Erano rigidamente codificati gli stili di vita, riscontrabili nel modo di vestirsi, di alimentarsi, nella tipologia delle abitazioni.